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AGNELLI CON LE ALI



Estratti dal libro di Marco Ferrante “Dinastia Agnelli” (Mondadori) a cura del “Foglio” (del lunedì)

– «Ogni anno che passa, la posizione di John Elkann si rafforza perché, come in una partita di Risiko, le sue risorse crescono a un ritmo superiore a quello degli altri. Inoltre egli ha una base di partenza, 34 per cento, con cui è al centro delle operazioni.
«Gli altri, invece, di anno in anno si rimpiccioliscono. Per quanto il titolo Fiat possa crescere e sostenere il valore delle partecipazioni nell’accomandita, è evidente che, a mano a mano che il tempo passa e i soci aumentano, le singole quote diventano via via meno significative, sempre più vicine a valori strategicamente irrilevanti ed economicamente meno remunerative rispetto ad altri investimenti. Chi oggi ha una quota dell’1 per cento dispone per il futuro sostanzialmente dell’equivalente di quattro appartamenti in quartieri residenziali di una metropoli, una buona proprietà, ma via via più distante dall’idea di una fortuna. Dunque nei prossimi anni la tendenza a uscire dall’accomandita per chi detiene piccole quote e non ha altre entrate potrebbe aumentare. Il gioco di cessioni e acquisti rafforzerà chi è già forte».

– Una volta che il microfono s’era guastato, qualcuno lo avvertì che i parenti in sala non avevano capito neanche una parola e lui rispose: «Anche se non capiscono, sono d’accordo lo stesso».

– «Nel complesso tenne i parenti sotto ipoteca per tutta la vita. Li fece vivere bene: a parte il caso unico del 1975 – il punto più alto della crisi postvallettiana, resa più acuta dalle conseguenze dello shock petrolifero -, anno in cui la famiglia non percepì denaro, i dividendi arrivavano puntualissimi e non sono mai scemati. Negli ultimi sei anni il dividendo dell’accomandita è stato di circa 20 milioni di euro l’anno (ai valori attuali è circa l’1 per cento del capitale). Significa che ogni quota da 100 milioni incassa a fine anno 1 milione di euro, l’equivalente di quasi due miliardi di vecchie lire».

– Ai 21 anni, il nonno gli regalò la Riv, la fabbrica di cuscinetti a sfera, che fu la fonte più cospicua delle sue entrate personali.

«Le traversie degli ultimi dieci anni, le cessioni necessarie per fronteggiare le difficoltà hanno ristretto il perimetro d’influenza della famiglia Agnelli sull’economia italiana. Negli anni Trenta il senatore Agnelli era a capo di un’azienda con già oltre 50 mila dipendenti, centrale per il sistema economico fascista. Nel dopoguerra la centralità della Fiat aumenta in percentuale sul Pil e sulla capitalizzazione di Borsa. Quanto all’occupazione, si calcola che alla conclusione del regno Valletta, nella seconda metà degli anni Sessanta, dal settore auto, cioè dalla Fiat, in Italia dipendevano due-tre milioni di occupati, il 18 per cento degli addetti all’industria e ai servizi.

Negli anni Ottanta, il potere economico della famiglia era tentacolare: proprietari del primo gruppo automobilistico europeo, presenti nell’aeronautica, nelle ferrovie, negli armamenti, nell’immobiliare, nelle assicurazioni, nell’alimentare, nelle costruzioni, nel turismo e nell’editoria, più tre quotidiani controllati e circa 700 società partecipate in Italia e in Europa.

«Confrontiamo lo schema delle partecipazioni di famiglia di allora con quello delle partecipazioni di oggi. Resta il controllo della Fiat, che però è molto più piccola di allora. La holding ha conservato, oltre all’auto, i camion, le macchine movimento terra e la componentistica. Il resto delle attività industriali, dall’energia all’aeronautica, non esiste più. E delle partecipazioni strategiche nel sistema di potere economico e finanziario italiano è rimasto solo il 10 per cento in Rcs, la casa editrice del Corriere della Sera, e una piccola quota in Mediobanca che sarà ceduta entro il 2007. Quanto alla holding di famiglia, si è molto ristretta anch’essa: ha conservato la Juve, la Stampa e alcune partecipazioni in Francia. Recentemente è stato acquisito il gruppo immobiliare Cushman e Wakefield negli Stati Uniti.

«Ma, a parte l’indebolimento economico, si pone un’altra questione: non c’è più, ed è quasi impossibile da riscostruire, la stessa influenza sul paese; e così pure l’esercizio di una primazia, di una specie di regalità sostitutiva (per noi che avevamo perduto una famiglia reale), un potere che è svanito».

– «Una mattina di metà agosto 1967. Gianni e Umberto con Marella, Allegra e Beno Graziani, uno degli amici del cuore di Gianni, sono a bordo di una goletta che naviga nei mari del Sud tra le Hawaii e Maui. Un elicottero della Marina da guerra americana li incrocia, volteggia loro intorno, li identifica e si avvicina. Dall’altoparlante, una voce chiede di mister Agnelli. Valletta è morto. Gianni e Umberto furono tirati su in shorts dall’elicottero e – insieme – cominciarono il viaggio per Torino, scali a Honolulu, Los Angeles, New York, Parigi».

– A metà degli anni Sessanta, il 10 per cento del Pil dipendeva dalla Fiat.

– «Colpisce la circostanza che chiunque parli di lui, ricorderà prima o poi di quella volta in cui avendovi preso a Roma in mattinata, vi mollò ad Atene dopo aver fatto un bagno a Mykonos per proseguire alla volta di Parigi dove era fissato un pranzo da suo nipote».

– Sfotteva i nipoti, ma era cameratesco. Considerava tutta quella folla di parenti una palla al piede. In febbraio, mancando poco alla morte, li convocò tutti a Villar Perosa. C’era la neve, era l’ultima riunione di famiglia. Regalò a ciascuno una doppia foto di suo nonno, da giovane e da vecchio, in un portafoglio di cuoio Gucci e la biografia del Senatore di Valerio Castronovo. «Ci disse di andare ognuno per la nostra strada. Di non contare, per il nostro avvenire, né sulla famiglia né sull’azienda».

– «Torino è come una portaerei, bello arrivare, bello ripartire» (Gianni Agnelli).

– «L’Avvocato preferiva di gran lunga i rapporti con i nipoti maschi. Gli creavano meno imbarazzo e meno fatica. Ma anche con noi ragazze non rinunciava al suo humour. Lo divertivano un mondo i miei divorzi. Mi chiedeva sempre: parlami del tuo stato civile» (Priscilla Rattazzi, figlia di Susanna).

– Naturalmente, in viaggio, niente bagaglio né portafogli o similia.

– Al tempo dei tempi, la famiglia andava al mare a Forte dei Marmi. «Ogni tanto arrivava Gianni, piaceva ai nipoti. Una volta dette dieci lire a uno dei maschi più grandi e disse: “Vatti a comprare un bel gelato di merda”».

– Maria Sole Agnelli, «un po’ tirchia. A Londra va in giro in metropolitana e in double deck. Narrazioni famigliari lasciano intendere che ogni tanto indossi borse false di Vuitton. “Chi mai penserebbe” avrebbe confessato “che io vada in giro con una cosa non vera!”».

– Giovanni Fabbri andò a prendere Agnelli con la sua nuova Rolls Royce. Gianni disse: «Bella macchina, ma che sedili di merda». La volta dopo, Fabbri si presentò con la stessa Rolls Royce a cui aveva sostituito i sedili con due poltrone Luigi XVI.

– «Umberto, interessato al denaro come tutti gli Agnelli (ancorché Gianni affettasse noncuranza), aveva con i soldi un rapporto cauto. Era molto, molto ricco, e siccome non era una mammola aveva saputo far fruttare i suoi interessi con l’aggressività del capitalista e del raider. Non amava le sbruffonerie ed era spartano. La sera andava a tavola alle 19 e 45, con una franchigia di quindici minuti per il suo secondo figlio, Andrea. Ma a cinque minuti dallo scadere della franchigia, il ragazzo doveva telefonare nel caso non ce l’avesse fatta ad arrivare in tempo».

– «Una scena negli anni Settanta. Gianni parte da villa Frescot alla guida della sua auto, seguita da quella della scorta. Scendono a rotta di collo per la collina. Prima dei semafori che attraversa regolarmente col rosso, prima del ponte sul Po, all’improvviso inchioda. La macchina della scorta non fa in tempo a fermarsi e lo tampona. Gianni Agnelli scende ridendo e dice all’autista: “Lei è un grandissimo coglione”».

– Marisa Nasi «ha l’usanza molto civile di chiedere sempre il prezzo».

Gianni regalò un’automobile a Pamela Churchill, che era stata sua amante e adesso si sposava col vecchio Averell Harriman. Le fece portare le chiavi su un piatto d’argento, attaccate a un portachiavi napoletano a forma di bara. Pamela aprì la bara e dentro c’era uno scheletro che ebbe subito un’erezione.

– «Fu Graziella Lonardi a presentare Marisa Coop-Diatto, moglie di Emanuele Nasi, a Roberto Capucci. Lei era vestita con un tailleur di flanella grigia, aveva scarpe di coccodrillo rosse con un mezzo tacco. Lui notò la fede e un brillante rosa portato al contrario, con la pietra nel palmo della mano. Diventò, per ammissione del maestro, la sua cliente preferita, cioè la donna su cui sapeva di poter sperimentare. “Poteva portare dei vestiti difficilissimi, perché era straordinariamente sicura di sé” racconta Capucci. Una volta, per un ballo a Montecarlo, si mise un vestito molto complicato di taffettà rosa peonia con una balza di plastica trasparente tipo plexigas che lasciava vedere le gambe. Un’altra volta, per un ballo a Torino, scelse un abito blu di georgette color paglierino con un corpetto fatto di sassi su cui chiese di incastonare quattro spille di brillanti. Anche di giorno poteva indossare cose rischiose come un cappotto bicolore ciclamino e nero che si chiudeva a sandwich: lo usava abitualmente. Una volta si mise un vestito di scimmia nero, con una cinta d’oro, stivali neri e un cappotto di tweed verde smeraldo. Così la vide per la prima volta Michi Gioia: “Era meravigliosa”. Donna molto bella, ovviamente, fisico magnifico, mani perfette, lunghe dita. Secondo Capucci è paragonabile per portamento a Silvana Mangano e Jacqueline de Ribes, che fu una delle dieci donne più eleganti del mondo».

– Ruy Brandolini – ramo Cristiana Agnelli – sposò Georgina di Faucigny-Lucinge e Coligny, discendente di Filippo il Bello e cugina della Anne Souvage de Brantes che s’era fatta impalmare da Valéry Giscard d’Estaing. L’intreccio di parentele decise Gianni a fare il testimone di nozze, privilegio mai più concesso a nessuno (tranne Luca Cordero di Montezemolo che ebbe anche in regalo una Ferrari 360 Modena grigio argento, commissionata a Pininfarina nella versione barchetta). Interrogato sul punto, Ruy Brandolini rispose: «Preferisco pensare che sia accaduto perché lo zio mi voleva bene».

– «Andavo a Capri quando le contesse facevano le puttane. Ora che le puttane fanno le contesse non mi diverte più».

– Luca Ferrero de Gubernatis Ventimiglia, marito di Clara Nasi, si fece modificare un coupé per poter stare in auto col cappello.

– Clara Agnelli ha raccontato a Brando Giordani che una volta le capitò di lavare i piatti.

– «Novità?» (Agnelli al direttore della Stampa, chiunque fosse).

– «Gianni dava da mangiare ai cani con la forchetta» (testimonianza di Jas Gawronski).

– Appena arrivava a New York, chiamava Torino e Roma per sapere se c’erano novità.

– La ragazza che gli regalò un cucciolo di husky dicendogli «È uguale a te, brizzolato e con gli occhi azzurri». Da quel momento, gran moda degli husky in Italia.

– Umberto e Gianni si telefonavano quattro o cinque volte al giorno, fino alle dieci e mezza di sera, poi Gianni richiamava la mattina dopo alle sei e mezza per sapere se c’erano novità.

– Gli husky fuggivano dal recinto di Sant-Moritz per cacciare i daini engadinesi, gli Agnelli erano costretti a pagare grosse multe. A un certo punto la polizia li avvertì che, la prossima volta, gli husky sarebbero stati abbattuti e i cani smisero di scappare.

– Delfina Rattazzi, forse la più intelligente delle figlie di Susanna, quindi, secondo un’amica, «quella che ha sempre dato i problemi maggiori». Ha scritto un libro su New York (Say Goodbye) in cui ci sono:
«Bob Dylan che arriva a una festa: la moglie del padrone di casa si è rotta una gamba ed è tutta ingessata; tra i due scocca la scintilla e fanno l’amore per tutta la notte in una tenda montata in giardino, con l’assenso del marito di lei, contento – dopotutto – perché quello “era pur sempre Bob Dylan”;
«Warren Beatty che appena fa innamorare una donna la molla;
«Miles Davis invitato a un pranzo alla Casa Bianca da Ronald Reagan, una signora gli chiede: “Lei che cosa ha fatto per ottenere un invito qui stasera?” e lui risponde: “Ho cambiato la musica quattro o cinque volte”;
«Jackie Kennedy che appena può indossa i sandali del dottor Scholl’s perché ha i piedi larghi e le scarpe le fanno male, donna dall’avarizia patologica».

– Anita Ekberg gli fece una scenata mentre era a letto con Dino Risi, «tu non ama me, tu maiale italiano, io non ti ama più».

– Tiziana Nasi, talmente compenetrata nella vita del Sestrière, che un inverno non si mise le calze finché non arrivò la prima neve.

– «I rapporti umani sono abissi. Mentre Romiti scodinzola, Agnelli si fa beffe dell’abbigliamento del suo amministratore, in cui rinviene un certo caracenismo di riporto».

– Il marito di Tiziana Nasi, Giancarlo Bussei, «ha commesso un certo numero di stranezze». A Torino aveva una piscina a forma di coppa di champagne dove talvolta si immergeva con le bombole (tipo Dustin Hoffman nel Laureato). «Da Lobb si fece confezionare un paio di scarpe azzurre di pelle di pescecane». Pubblicò poi la ricevuta d’ordine in uno dei suoi libri.

– Nel sito http://www.noveporte.it. Giancarlo Maresca, avvocato napoletano che considera Agnelli un genio dell’eleganza: «Amante delle tinte unite, dei bassi contrasti, dei grigi chiari e delle cravatte poco appariscenti, inseriva sempre un dettaglio sbagliato a beneficio del pubblico che amasse criticarlo».

– Margaret d’Inghilterra chiese a Bussei perché la Sindone si trovasse a Torino e Bussei senza scomporsi rispose: «Perché in origini molto antiche la famiglia di Gesù veniva da Torino».

– Il sarto Valentino Ricci, che decise di costruire un vestito per Agnelli senza mai far prove (e senza conoscerlo personalmente), ma solo studiandolo e intuendone così le misure e il gusto. Quando si sentì pronto, i giornali annunciarono che Agnelli era morto. Ricci realizzò l’abito lo stesso, se ne vedono le immagini su http://www.noveporte.it.

– Laura Nasi raccontava di non essersi trasferita in Sudafrica nel primo dopoguerra «perché preferiva il pericolo dei comunisti a quello di essere mangiati dai negri».

– «Timothy Willoughby, seduto al tavolo da gioco con Agnelli, gli dice: “È inutile che io e lei ci giochiamo dei soldi. Giochiamoci invece qualcosa a cui teniamo. Se vinco vorrei la sua houseboat”. (Agnelli si era fatto costruire una barca a fondo piatto, sul modello di quelle che ci sono sul lago di Srinagar, nel Kashmir). La storia ebbe una conclusione drammatica a causa dell’incoscienza di Willoughby. Vinse la partita ed ebbe la barca. Sconsideratamente – poiché l’imbarcazione era inadatta alla navigazione marina – salpò alla volta della Corsica. E non giunse mai a destinazione».

– La franchezza in Suni Agnelli, «un segno a metà strada fra la trasgressione e la distinzione sociale».

Agnelli si mise di traverso per impedire a De Benedetti di scalare la Société Générale du Belgique, poi gli telefonò e gli disse: «Sono contento che lei non ce l’abbia fatta».

– Per esempio, nella sua rubrica su Oggi. «A una donna che dice di amare suo marito e di tradirlo platonicamente (solo baci) con un altro uomo, e di lasciarsi andare ogni tanto anche con altri quando c’è il feeling, la titolare della rubrica così risponde: “Non riesco a immaginare cosa intenda esattamente per lasciarsi andare con altre persone, comunque mi sembra che suo marito sia un gran cornuto”».

– «Quand’era ragazzo, Riccardo Rossi, l’autore e attore teatrale e televisivo, aveva inventato una rappresentazione privata che dice molto sulle ricadute sociali della regalità agnelliana. Il gioco era questo. Rossi aveva ritagliato dalle riviste alcune fotografie di Gianni Agnelli, le aveva stirate e sistemate in cornici d’argento. Quando aveva gente in casa prendeva le cornici e le girava. Così l’invitato occasionale, intento a curiosare su una mensola, si sarebbe chiesto: perché qui ci sono delle foto di Gianni Agnelli? E per di più nascoste? Parente munito di understatement? Nipote? Amico? Il divertimento era guardare le facce interrogative degli ospiti. Poi sul racconto di quelle espressioni, Rossi costruiva gag irresistibili. Il gioco nasceva da un presupposto: per almeno cinquant’anni, avere un contatto, un grado di separazione dagli Agnelli, era considerato un’esperienza socialmente decisiva. Questo fu opera di Gianni Agnelli».

Suni Agnelli, intervistata dopo lo scandalo Moggi: «Gli juventini veri sono quelli che dicono: quando hai amato una donna la ami anche se poi diventa una troia».

– Una volta Edoardo, il figlio di Gianni poi suicida, venne chiamato al telefono dal padre. «Sbrigati a mangiare, vestiti, ti porto allo stadio». C’era la Juventus ed era una partita di Coppa. Edoardo si vestì, ma il padre non passò mai a prenderlo e non gli telefonò per avvertirlo.

– Daniela Emmert, prima moglie di Andrea Nasi, i banditi volevano rapirla, si sbagliarono e presero la sua factotum, che poi liberarono, ma solo dopo avergliele date di santa ragione.

– Opinione diffusa che la sua partecipazione alla prima parte della guerra fosse in definitiva un evento sportivo.

– Enrico Marone Cinzano, nipote di Laura Nasi, occupa una casa downtown a New York dove ci sono palmizi di cinque metri.

Urbano Rattazzi (cognato): «In Russia aveva trovato uno schiavo che faceva funzionare la sua stufa al massimo e lui circolava nudo nella sua isba come in una sauna. Per terra c’erano due pelli d’orso che probabilmente erano solo di capra. Però facevano lo stesso effetto! Ambiente molto gradevole. Aveva del cognac, organizzava party, riceveva giornalisti, alcuni rumeni. Era un posto in cui c’era del movimento, si raccoglievano notizie, correvano barzellette e scherzi».

– «Un settimanale ha raccontato di come avesse cenato una volta l’anno, fino alla fine, con i suoi compagni d’arme in Russia».

– Tenacia di John Elkann, che derubato di un giaccone a Parigi passò tutta la giornata a cercarlo e alla fine lo recuperò alla periferia della città.

– «Natale dalla parte di Gianni era come se non esistesse. “Gianni e Marella facevano una cena il 24 sera, a Roma, e partivano il giorno dopo. Se per caso eri lì e ci andavi, e avevi la malaugurata idea di portare un regalo, ti guardavano storto. Eri uno che non sapeva stare al mondo. Comunque a Natale andavano in depressione”».

– Quando è uscito il libro con i discorsi di Agnelli, John ne ha mandato una copia a tutti i nipoti di quinta generazione, alcuni dei quali sono ancora bambini.

– A uno che gli chiede se il tale fosse un amico, Agnelli risponde: «Non è un amico, è solo una cattiva abitudine».

– «La vocazione di Margherita alla maternità è oggetto di discussione tra chi la conosce: ci si chiede se sia originata da un deficit di calore famigliare, oppure da una specie di vitalismo comunitario. “Sono più convinto di questa seconda ipotesi” racconta un amico. “Ci fu la fase, per esempio, in cui in una casa nella campagna francese tutti i bambini potevano andare in giro nudi”. Lei stessa riconosce nella prolificità un elemento di amore per la vita. Pensava che la vita fosse meravigliosa e che fosse giusto farvi partecipare il maggior numero di persone. Ecco perché ha voluto otto figli. Esiste in lei un côté mistico, religioso: dopo il matrimonio De Pahlen s’è russizzata. Viene descritta come calorosa, generosa, abbastanza semplice. Sarebbe potuta appartenere anche a un’altra famiglia. Le piace dipingere, ma non si prende troppo sul serio, lo considera un tentativo goffo – dice – di esprimere la propria sensibilità».

Gianni «molto amato dalle donne, in seguito diventerà orribilmente l’Avvocato. A proposito di questo soprannome, abusato fino a perdere qualunque connotazione ironica, bisogna riconoscere che fu lui stesso a restituirgliene un poco. Severino Poletto, arcivescovo di Torino, nel corso dell’omelia funebre raccontò di averlo conosciuto da non molto, quando già la sua vita cominciava a declinare. Al primo incontro il prelato gli chiese: “Come devo chiamarla?”. “Avvocato” rispose Agnelli. E aggiunse: “È un nome d’arte”».

– Galvano Lanza di Trabia seguiva Agnelli con funzioni di intendenza, quando uscivano pagava le mance.

– Sua mania per i futuristi, «dei coglioni, ma dei grandi artisti».

– «Gianni è appena stato a un funerale in Sicilia. È morto un vecchio aristocratico, col vizio della cocaina. Gianni racconta del caldo, degli amici che si disperano, che parlano del morto stracciandosi le vesti, per ore. Poi uno di loro dice: “Caduti da cavallo, bisogna ritornare in sella”. “Hai ragione” dicono gli altri. Uno alla volta si mettono ad armeggiare nelle tasche, tirando fuori pipette e scatolette. Gianni ride come un pazzo» (testimonianza di Galvano Lanza di Trabia).

– «Gianni detestava il commiato. A un certo punto, non c’era più».

– Lupo Rattazzi si ricorda che, il giorno della morte di Giorgio Agnelli, vide piangere una cameriera.

– «Agnelli è sempre da qualche altra parte».

– Ironie di Agnelli sugli «imprenditori che si sono disfatti da soli».

Edoardo, figlio di Clara Nasi, fa sempre una domanda alle riunioni dell’accomandita.

– Abitudine di contare sulle dita della mano partendo dal mignolo.

– Da un articolo di Oddone Camerana pubblicato sul Diario alla morte di Gianni Agnelli: «Gianni Agnelli non è mai stato un simbolo e nessuno si scappellava al suo passaggio. Semmai qualcosa di più intimo, di più segreto e a volte di imbarazzante spingeva a unirsi a lui. Una voglia contagiosa di far festa e di aprirsi. Senonché una forza uguale e contraria e la prudenza consigliavano ad alcuni di non farlo e di resistere. Per questo, ora che lui è scomparso, dispiace, ma ci si sente liberati».

– Per il solo fatto di non aver mai conosciuto Gianni Agnelli, Marchionne rappresenta la discontinuità.

– «Il numero dei famigliari cresce e ogni generazione è meno ricca della precedente. Con il tempo, il processo di imborghesimento economico ha inciso sulla composizione della cassaforte familiare – perché quando qualcuno ha commesso un errore finanziario, o ha avuto bisogno di liquidità, è uscito dalla società – e ha inciso sulla psicologia del gruppo: i componenti di una grande famiglia del capitalismo a volte si comportano da piccoli azionisti».

giugno 24, 2007 - Posted by | Libri, Politica, rifiutato dallo sponsor, Sex in the 21st Century, Si stava meglio quando si stava peggio

5 commenti »

  1. Non so se eri buono o cattivo….ma a 13 milioni di innamorati della vecchia Signora juventus, QUANTO CI MANCHI……….!!!

    Commento di Francesco ienzi | giugno 18, 2008 | Rispondi

  2. Ne nascono forse uno ogni secolo…ma sono sicuro che sul pianeta altri ne sono esistiti con i suoi “vezzi”, che nascono per dono di natura ma, non si chimarono G.A.: sarebbe stato bello conoscerlo sopratutto per i suoi limiti umani, sarebbe stato ancora più GRANDE.

    Commento di alessandro de propris | agosto 3, 2008 | Rispondi

  3. se vai su google gruppi e digiti ” il barista e le figlie di susanna agnelli ” puoi aggiungere an’altra storia di quella famiglia.
    é capitata a me.
    ciao vincenzo

    Commento di vincenzo | novembre 23, 2008 | Rispondi

  4. Agnelli era l’esatto opposto di Berlusconi, per le cose positive come per quelle negative.

    Commento di francesco raito | aprile 22, 2011 | Rispondi

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